„Che cosa succederebbe se i paesi dell’Africa subsahariana ricevessero. una telefonata in cui si comunica che entro 5 anni i rubinetti degli aiuti verranno chiusi per sempre? Non una catastrofe umanitaria, ma l’inizio della rinascita del continente più povero.“ È la controversa e rivoluzionaria tesi di una economista quarantenne, nata e cresciuta in Zambia, che nel 2009 il settimanale Time ha incluso fra le 100 persone più influenti del pianeta.
Moyo sostiene che gli aiuti (15 % del pil dell’Africa subsahariana) innescano uno sciagurato circolo vizioso: alimentano la corruzione, le guerre civili, puntellano i regimi dispotici, scoraggiano gli investimenti, inibiscono la classe imprenditoriale autoctona, incrementano l’inflazione e creano dipendenza e povertà, rendendo indispensabili ulteriori aiuti. «Ogni anno l’Africa brucia 20 miliardi di dollari per rimborsare il debito estero e oltre 150 miliardi sono inghiottiti dalla dilagante corruzione, La realtà è che nessun paese al mondo è mai riuscito a ridurre i livelli di povertà e a sostenere la crescita economica grazie agli aiuti».
Le critiche al vetriolo della Moyo non sono dirette agli interventi umanitari d’emergenza o alle ong impegnate in progetti specifici di riconosciuta utilità, che rappresentano però solo una frazione irrisoria rispetto ai miliardi di dollari trasferiti direttamente ai governi dei paesi poveri dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale. È questo «aiuto sistemico», in forma di prestiti a tassi agevolati e di sovvenzioni a fondo perduto, a perpetuare la dipendenza e a impedire la crescita economica.
Secondo Dambisa Moyo, la colpa della povertà cronica dell’Africa è proprio degli aiuti, un’elemosina che, nella migliore delle ipotesi, costringe l’Africa a una perenne adolescenza economica, rendendola dipendente come da una droga.
Moyo denuncia i casi emblematici degli agricoltori africani rovinati dalle eccedenze alimentari americane ed europee che inondano i mercati locali. O quello di un imprenditore costretto a chiudere la sua fabbrica dì zanzariere perché alcune organizzazioni internazionali avevano deciso di distribuirle gratis.
L’alternativa è chiara: seguire la Cina, che negli ultimi anni ha sviluppato una partnership sofisticata ed efficiente con molti Paesi della zona subsahariana. Il colosso cinese, che non deve fare i conti con un passato di colonialismo e schiavismo, è infatti in grado di riconoscere l’Africa per la sua vera natura: una terra enorme ricca di materie prime e con immense opportunità di investimento.
In questo libro Dambisa Moyo pone l’Occidente intero di fronte ai pregiudizi intrisi di sensi di colpa che sono alla base delle sue “buone azioni”, e lo invita a liberarsene. Allo stesso tempo invita l’Africa a liberarsi dell’Occidente e del paradosso dei suoi cosiddetti “aiuti” che pretendono di essere il rimedio mentre costituiscono il virus stesso di una malattia curabile: la povertà.
La recessione globale, conclude la Moyo, potrebbe essere un’opportunità per l’Africa:
„i donatori occidentali devono tagliare i fondi. Così, forse, gli africani capiranno che devono cominciare a camminare con le proprie gambe“.
Dambisa Moyo è nata (1969) e cresciuta a Lusaka, capitale dello Zambia, ha conseguito un dottorato in Economia a Oxford e un master a Harvard. Ha lavorato per la Banca Mondiale a Washington e presso la Goldman Sachs, una delle piú grandi ed affermate banche d’affari. Nel 2009 il suo libro Dead Aid entra nella classifica dei bestseller negli Stati Uniti, in Canada e in Gran Bretagna.
Bianca