Prendiamo spunto da un articolo pubblicato il 29 luglio 2021 sul sito Burkina24.com per parlare di un tema molto caro alla Casa Bianca e che è stato, ed è ancora, colpevolmente sottovalutato se non ignorato, dagli alleati e partner commerciali degli Stati Uniti, con particolare evidente riferimento alle nazioni europee. Parliamo dello spionaggio sistematico della Cina e della sua infiltrazione all’interno dei sistemi di comunicazione di vari paesi, sempre negato dai vertici del partito comunista. In pochi si ricordano di quando Edward Snowden, ex analista CIA, tolse il coperchio all’enorme calderone di rivelazioni in merito alle intercettazioni a tappeto, per la maggior parte ingiustificate ed ingiustificabile, perpetrate dal governo USA ai danni di normali cittadini e di persone al di fuori del proprio territorio, inclusi i loro alleati ed i loro rappresentanti di spicco in ogni campo. Anche gli USA, come la Cina, negarono in un primo tempo, salvo poi tacere di fronte all’evidenza delle prove fornite, che costarono ad Edward Snowden un mandato di cattura, e la seguente costrizione in esilio in Russia.
Ora la Cina sta facendo la stessa cosa, soltanto che si trova dalla parte opposta della barricata. Che ciò sia più o meno grave, è giudizio che lasciamo ai lettori. Sotto la lente in particolare si trova lo sviluppo della rete 5G e la presenza di apparati di fabbricazione cinese all’interno delle infrastrutture sensibili (computer, telecamere, apparati di rete, smartphone).
Se da un lato tali vicende vengono in qualche modo alla luce nei paesi ove la tecnologia è più diffusa, è anche abbastanza normale che esse passino in secondo piano, quantunque non bellamente ignorate, in nazioni dal basso sviluppo tecnologico, ove, secondo alcuni, i problemi sarebbero ben altri: povertà, fame, guerre, disastri dovuti ai cambiamenti climatici, ecc. Peccato che la tecnologia oggigiorno permei ogni attività, ogni settore, benché talvolta indispensabile, talvolta opzionale. In qualunque campo lo sviluppo non può prescindere da una qualche tecnologia.
America Latina, Africa e parte del continente asiatico sono dunque più proni alle infiltrazioni tecnologiche, informatiche, economiche, politiche e militari da parte di potenze straniere.
Il Burkina Faso, come tanti paesi africani possiede un’infrastruttura telematica alquanto povera, in stato embrionale. Nonostante ciò, la rete cellulare è abbastanza diffusa, soprattutto nelle zone a più alta densità di popolazione; più facile avere uno smartphone funzionante che non un attacco alla rete dell’energia elettrica. Lo smartphone è ormai divenuto uno strumento diffuso; nonostante ciò, esso riveste ancora un certo fascino, come status symbol…
Daouda Emile Ouédraogo è un giornalista e coordinatore internazionale dell’ONG Stand or Life and Liberty (S2L) negli Stati Uniti, si batte per la promozione dei diritti umani. Suo l’articolo su Burkina24.com in cui egli porta all’attenzione dell’opinione pubblica quanto la politica locale ignori la minaccia dello spionaggio attraverso le telecomunicazioni e tenda anzi ad farsi bella di quanto „donato“ dai rappresentanti della Repubblica Popolare Cinese. Non è infrequente che questi ultimi, con cerimonie in pompa magna, dimostrino la propria amicizia nei confronti della nazione ospite, con donazioni di materiale informatico, come computer, smartphone ed altro, apparentemente gratuito. Apparentemente perché se, e diciamo SE, non viene chiesto nulla in cambio, come ad esempio concessioni di un qualche tipo, oppure anche solo la propagazione di una certa narrativa in loro favore, l’utilizzo di tali apparecchiature ha un costo „invisibile“: le informazioni sensibili che transitano attraverso di esse e che vengono intercettate dagli hacker cinesi. Recentemente ci avevano provato con dei laptop nuovi e scintillanti donati ai membri dell’Assemblea Nazionale, il parlamento burkinbé, che fortunatamente furono dirottati ad altri impieghi; ora l’ambasciatore Li Jian ha consegnato ben (…) 33 smartphone a Thierry Hot, Conseiller spécial en Communication, che li consegnerà a diversi direttori della comunicazione. Questi ultimi, operando a diversi livelli, sono responsabili della comunicazione fra le amministrazioni, fra i ministeri, le commissioni, ecc; sono a conoscenza di informazioni sensibili, veicolano le informazioni, e sono dunque fra i bersagli privilegiati dei pirati informatici cinesi. Scattata la trappola, mentre i direttori della comunicazioni si fregiano di un cellulare Huawei nuovo di zecca da mostrare agli amici con cui farsi dei selfie, e qualcuno inevitabilmente inneggia sui social a chi promette e mantiene (inevitabile la frecciatina alle potenze occidentali), Daouda Emile Ouédraogo, che vive e lavora negli Stati Uniti, ha tentato di avvisare quei suoi ignari colleghi. Questi ultimi hanno dimostrato la loro palese ignoranza in materia, affermando che avrebbero ispezionato i dispositivi prima di utilizzarli. Con cosa? Con un antivirus, magari scaricato da uno store di app cinesi? L’ingenuità di tali individui, i quali rivestono cariche importanti, è a dir poco imbarazzante. Ricorda un po‘ quella di certi parlamentari italiani che non conoscono la differenza fra un messaggio di Whatsapp ed un SMS. In Burkina Faso non c’è nessuno in grado di dire se quegli smartphone vengono spiati o meno. È già estremamente difficoltoso per i super esperti USA, figurarsi in Africa. Il grado di sofisticazione di tali apparecchi è elevatissimo, essendo totalmente fabbricati in Cina, nessuno è in grado di sapere cosa effettivamente ci sia dentro. Daouda Emile Ouédraogo esorta quindi i possessori a non utilizzarli per lavoro; sappiamo già che tale appello cadrà inevitabilmente nel vuoto. Tanto nessuno ha niente da nascondere. E poi farsi le foto con gli amici mostrando loro il telefono nuovo ha un richiamo a cui non si può resistere. Tuttavia è bene che almeno qualcuno ne parli.