Nel corso della pandemia più volte i media, anche quelli nazionali, si sono chiesti quale effetto avrebbe avuto la pandemia di Covid-19 in Africa. Quando sarebbe arrivato il virus, che impatto avrebbe avuto e come combatterlo. In questi giorni si discute anche del vaccino: i paesi ricchi si stanno contendendo le dosi prodotte dalle diverse case farmaceutiche a suon di milioni, ma cosa possono fare le nazioni del terzo mondo? Esse non hanno accesso a sufficienti risorse finanziarie, pertanto possono incorrere in forniture scadenti o poco efficaci. Come ovviare a tali problematiche in modo sostenibile?
La risposta a tale domanda non è, e non può essere, univoca. Uno strumento tecnologico che è stato utilizzato in modo efficace è Ubora, Open Biomedical Engineering e-platform for Innovation through Education, una piattaforma web di tipo collaborativo e di e-learning. Essa venne creata non molti anni fa da Arti Ahluwalia, nata in Kenya, cresciuta nel Regno Unito, studi in Italia: è un ingegnere biomedico che dirige il centro di ricerca „E. Piaggio“ di Pisa. Proprio da lì partì la geniale idea di coinvolgere università africane (2) ed europee (5) in un progetto aperto, democratico, condiviso, non guidato dal profitto. Ubora significa „eccellenza“ in lingua swahili, ed è stata definita la „Wikipedia dei progetti di dispositivi biomedicali“. L’arrivo del Covid-19 nel continente africano ha innescato una serie di attività in seno alla piattaforma, allo scopo di progettare, realizzare e condividere dispositivi biomedici per combattere l’epidemia, abbattendo il più possibile i costi. Ciò è reso possibile grazie alla condivisione e partecipazione di soggetti diversi, con diverse abilità ed esperienze, in progetti multidisciplinari i quali, se svolti separatamente, porterebbero ad un inevitabile innalzamento del budget da utilizzare.
In tal modo ricercatori, studenti e docenti progettano e realizzano ventilatori, respiratori, mascherine, filtri, e tutto ciò che può servire per contrastare la diffusione del virus ed i suoi effetti. Per esempio una squadra di quindici studenti della Kenyatta University di Nairobi ha inventato Tiba Vent, un ventilatore a basso costo che, si dice, ha già salvato migliaia di vite, ed è fra i vincitori del contest UBORA Design Competition 2020.
Ubora riesce ad aggregare le competenze e trasmettere la conoscenza in maniera democratica, mettendo in contatto gli stakeholder e facilitando l’incontro fra domanda ed offerta, in modo tale da evitare lo spreco di preziose risorse, sia umane che materiali.
Lo scorso giugno ad esempio è stato realizzato un bootcamp di 2 settimane.
Durante il corso, gli studenti hanno acquisito i concetti chiave, seguito lezioni e workshop sulla progettazione di dispositivi biomedici, lavorato in gruppo sul progetto di uno specifico device allo scopo di risolvere ciascuno una delle seguenti sfide relative al COVID-19:
- Migliorare la progettazione e la fabbricazione di dispositivi medici e dispositivi di protezione personale
- Ideare strumenti alternativi per tracciamento e isolamento dei contatti che risultino efficienti ed efficaci
- Pensare nuovi approcci per test e diagnosi
- Progettare dispositivi medici affidabili ed economici per la terapia
Tutto ciò tenendo ben presente le regole ed i principi ispiratori della piattaforma, come la condivisione di quanto realizzato, nonché le regole di sicurezza dettate dall’emergenza, motivo per cui le lezioni si sono tenute online.
Ubora rappresenta una storia di successo di un progetto open source collaborativo fra istituzioni accademiche di diversi paesi, che dimostra come l’idea del profitto a tutti i costi non sia sempre una strada obbligata, e che i risultati ottenuti siano comparabili, se non migliori, di quanto possano realizzare i grandi nomi dell’industria, il cui contributo scientifico non è comunque in discussione.