Nel villaggio di Poni, all’interno del comune di Gaoua, regione del Sud Ovest, esiste un piccolo ma interessante museo etnografico sul popolo Lobi (che significa figli della foresta), un’etnia originaria del Ghana che si installò lungo il Volta Nero, vivendo di agricoltura, lavorazione dei metalli e della ceramica. L’etnia è suddivisa fra Lobi, Dagara, Birifor, Djan, Gan, Touni, Pougouli.
Fondato da suor Marie-Madeleine Père, venne aperto il 21 dicembre 1990, e si trova all’interno di un vecchio edificio coloniale del 1920, un po’ fatiscente. Sono tre le sale che ospitano oggetti prevalentemente per l’uso quotidiano ed una serie di fotografie. La sala dedicata alle donne richiama il ruolo delle donne nella società dei Lobi, dove riveste un ruolo molto importante. È infatti responsabile di tutte le attività che generano reddito; suo è il compito di provvedere ai bisogni della famiglia. Fra le sue occupazioni vi sono la realizzazione di vasellame, oggetti di vimini e la semina; la sala contiene perciò oggetti di uso quotidiano, di varia fattura. La seconda sala è dedicata agli uomini, i quali sono impiegati nell’agricoltura e nella caccia. Di loro competenza anche le attività spirituali e le cerimonie religiose. L’ultima stanza, il cosiddetto “salone del culto” raccoglie numerose fotografie che narrano le storie di alcuni personaggi; tra di essi la fondatrice del museo suor Marie-Madeleine Père, il famoso balafonista Nani Palé ed uno dei re del popolo Gan, Farma Késsié; tuttavia vengono omaggiati anche coloro i quali hanno contribuito, proprio con le loro fotografie (1912 – 1934) alla realizzazione di quello spazio culturale: il colono Henry Labourey (amministratore militare) e lo svedese-tedesco Arnaud Heins (geologo). Troviamo poi una serie di oggetti cerimoniali, idoli e strumenti musicali.
È da notare che i prodotti più pregiati dell’artigiano Lobi ottennero un buon riscontro presso gli ambienti culturali occidentali a partire dagli anni ’70; in special modo la produzione di vasellame iniziò ad essere apprezzata da collezionisti e musei, contribuendo alla loro popolarità, anche attraverso mostre specifiche.
Le sorprese del museo però non finiscono qui. Infatti per completare il sito informativo, sono state realizzate all’esterno dell’edificio una serie di strutture esplicative della cultura del popolo Lobi. Abbiamo infatti un peculiare edificio denominato ‘soukala‘, che è una fortificazione (i buchi nelle mura servono per vedere l’esterno e scoccare frecce contro il nemico), la cui funzione è evidentemente quella di proteggere la famiglia ed i suoi beni; prevede le camere da letto, la soffitta, il pollaio, il recinto. Al piano di sopra c’è solo il capofamiglia, che vigila dall’altro. A pianta poligonale, costruita in mattoni di fango e paglia, od anche con pietre e calce, presenta un’unica apertura non troppo grande, la porta, che non ha comunque accesso diretto all’ambiente ma è impedita da un passaggio curvo. L’intelaiatura, così come il soffitto, è fatta di legno (un’immagine è disponibile su questo sito: https://burkinafaso.jouwweb.nl/architectuur).
Poi ci sono le capanne di paglia, tipiche della popolazione Gan dei Lobi: quadrate per gli uomini e rotonde per le donne.
C’è anche il vecchio rottame di una Jeep, usata durante la guerra d’Algeria, e finita lì perché il suo autista decise di fuggire in Burkina Faso. Successivamente utilizzato per riscuotere tasse nel villaggio…
La maggior parte degli oggetti dell’esposizione è stata accumulate nel corso degli anni dalla fondatrice.
Il museo negli anni passati ha vissuto un periodo di popolarità, tuttavia negli ultimi anni le cose sono cambiate. Dal 2014 il numero di visitatori è scemato, a causa della situazione di insicurezza che permea tutta l’area dell’Africa Occidentale. Viaggiare non è più sicuro, sono pochi coloro i quali affrontano tale rischio; piuttosto ora i visitatori sono locali. Qualche famiglia, alcune scolaresche, che comunque apprezzano il prodotto. Si tratta sia di individui appartenenti all’etnia Lobi che altre. In particolare, sono gli scolari più piccoli che rimangono meravigliati nell’osservare tutta una serie di oggetti a loro sconosciuti, perché appartenenti ad una cultura che sta appunto, via via scemando. Ben si comprende dunque l’importanza di un luogo ove poter ritrovare le proprie radici. Una volta il museo era anche meta di turisti occidentali, i quali attraversavano Mali, Burkina Faso, Ghana e Togo fermandosi presso i luoghi d’interesse più rinomati.
Come tanti altri luoghi del genere, anche quello soffre della mancanza di fondi. Se da una parte l’edificio principale sta ancora in piedi da solo, lo stesso non si può dire di capanne e mura all’esterno, che proprio a causa della natura dei materiali utilizzati e dell’ampiezza del terreno occupato (più di un ettaro), richiede una manutenzione adeguata. Fra l’altro, col trascorrere degli anni, diviene sempre più difficile reperire operai in grado di provvedere ai necessari lavori.
Ultimo ma non ultimo, il problema relativo al reperimento del materiale per l’esposizione. Da un lato la dispersione della popolazione, dall’altro la naturale tendenza di disfarsi di ciò che non si usa più, rendono sempre più difficile, ancorché impellente, reperire testimonianze materiali della cultura Lobi. Sarebbe necessaria una campagna di raccolta, adeguatamente pubblicizzata e sostenuta finanziariamente, ma la situazione attuale non è favorevole.
Fonte: Lefaso.net