Fenomeno culturale in notevole espansione, come dimostra il numero sempre crescente di riviste, esposizioni, pubblicazioni e istituzioni che ne fanno il proprio orizzonte di riferimento, l'”arte africana contemporanea” include aspetti e componenti di natura diversa: dalla somma degli stili e delle produzioni nazionali del continente africano, alle opere degli artisti cosiddetti africani, fino a una produzione in qualche modo legata all’Africa ed esclusa dai circuiti internazionali. In ogni caso, ci troviamo di fronte a una dimensione alternativa, un luogo abbandonato in cui vengono realizzate forme artistiche nuove: in una parola, quella che oggi si è soliti chiamare “friche”. Ed è proprio a partire da questo modello in qualche misura paradossale (la “friche” trae la sua vitalità dalle rovine) che occorre comprendere i nostri rapporti con l’arte africana. Dato il suo carattere autoreferenziale, l’arte contemporanea occidentale si trova chiusa in un vicolo cieco: di fronte a questo processo di disgregazione, il meticciato, il riciclo, l’ibridazione delle culture potrebbero costituire una soluzione miracolosa, e all’Africa spetterebbe allora il ruolo di principale fonte di rigenerazione dell’arte occidentale. Ma – si chiede Amselle – di quale Africa parliamo? Il problema, dunque, non è tanto di avviare una riflessione sulle qualità propriamente estetiche dell’arte africana quanto di delimitare, attraverso di essa, il posto occupato dall’Africa nel nostro immaginario.
Dal libro